
Quando l’influencer, il blogger e il vlogger vendono pubblicità
Quando l’influencer, il blogger e il vlogger vendono pubblicità (occulta).
Il Garante italiano della Concorrenza e del Mercato ha concentrato le sue attenzioni sul mondo degli influencers inviando, ad alcuni dei più famosi, (Fedez, Ferragni, Pellegrini, Marcuzzi) delle lettere di “moral suasion”. Il motivo? Pare che i post contenenti citazioni a pagamento di prodotti abbiano raggiunto soglie di popolarità tali da scomodare giornalisti, media e concessionarie che vedono aggredita la propria quota di successo/penetrazione/popolarità e/o il proprio mercato con implicazioni che arrivano allo spostamento di investimenti che, a quanto pare, non sono più marginali, ma stanno acquisendo importanza strategica anche nella pianificazione delle azioni di comunicazione.
Cosa chiede il Garante agli influencers?
In pratica la richiesta del Garante è quella di una maggior trasparenza che si traduce nel dovere di rendere percepibile al cliente (consumatore o fruitore) la volontà commerciale che è alla base del post diffuso, sia esso testuale, fotografico o video. In effetti questa è la regola che da anni viene applicata a tutta la pubblicità presente su carta stampata e video (inclusi film con azioni di product placement) con istruzioni e pratiche consolidate che, di massima, sono evidenti al pubblico nella loro percezione globale.
Un #hastag è la soluzione?
Può davvero un semplice #hastag, posizionato a dovere risolvere il problema? Al momento questa sembra essere la richiesta iniziale del Garante. Vedremo quindi a breve comparire on line i primi hastag del tipo #pubblicità, #adv, #advertising, #sponsorizzato, #prodottofornitoda con l’aggiunta del nome o del servizio coinvolto nell’azione a pagamento e, almeno nelle intenzioni, a quel punto dovremmo aver ottenuto la giusta conoscenza e trasparenza sulla pubblicità e visibilità sulla committenza.
Gli analogici e non solo, presi in contropiede.
Lo sviluppo rapido e la popolarità di influencers, bloggers e vloggers ha spiazzato il panorama consueto della comunicazione, anche digitale, che ha visto superati in un lampo i tradizionali banner (sempre più appartenenti a un uso “vecchia scuola” degli spazi disponibili on line) a favore di un complesso, ma certamente molto più efficace, sistema di generazione del contenuto, dell’attenzione e del coinvolgimento del pubblico, che si sviluppa con numeri impressionanti di likes e condivisioni. Il mercato va veloce, muove interessi e non scherza: appena il fenomeno è diventato significativo è partita la protesta di chi, in questo nuovo modo di comunicare, non riesce a entrare per ragioni varie che vanno dall’età, alla propria preparazione ed esperienza digitale, alla resistenza al cambiamento, alla volontà di mantenere lo status quo.
Lo IAP l’aveva anticipato.
L’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, già nel 2016, aveva visto giusto pubblicando la “Digital Chart” ovvero un documento di orientamento e un’area intera del proprio sito web che delinea lo scenario e prospetta soluzioni pratiche al problema della pubblicità cosiddetta “occulta”. Sul sito dell’IAP si legge “Obiettivo della Digital Chart è quello di svolgere una ricognizione sulle più diffuse forme di comunicazione commerciale nella Rete e nel mondo digitale in genere, e di fissare criteri per la riconoscibilità della comunicazione commerciale nel rispetto dell’articolo 7 del C.A.” e il documento, scaricabile qui, tratta in dettaglio il tema di attualità.
Italia, fanalino di coda.
Negli Stati Uniti le regole ci sono già dal 2009 e sono oggetto di discussione e implementazione in funzione di un comparto che evolve in continuazione. Dai primi hastag quali #sponsored, #adv, #ad, posizionati qui e là si è passati a richieste più dettagliate, con l’azienda committente che deve essere taggata ben visibilmente nel post.
Blogger, vlogger e influencer esistono davvero.
La partita tra giornalisti e blogger/influencer e vlogger è aperta. I primi patiscono la presenza dei secondi, in prima fila alle sfilate di moda o in primo piano quando c’è da testare una nuova auto, un nuovo servizio, o quando c’è da partecipare a un evento importante ed esclusivo, i secondi maturano tecniche sempre più raffinate di coinvolgimento del pubblico e conquistano ingaggi sempre più importanti e costanti definiti minuziosamente con il loro pubblico fidelizzato. Blogger, vlogger e influencer quindi oramai esistono e sono presenti in gran quantità su siti specializzati che li gestiscono e propongono il listino con il loro costo per tweet o post su FB e l’elenco dei nomi che sono disponibili a realizzare questa attività. I prezzi? Da 1 dollaro a 1000 e più. Se poi si vuole un’azione più mirata non c’è che da mettersi in contatto direttamente o tramite agente e concordare cosa fare, quando e su cosa. Avanti, c’è spazio!
La tendenza all’orizzonte.
La rete corre. Il pubblico evolve. La comunicazione viaggia veloce e l’inizio dell’era che vede la persona al centro della generazione di messaggi è già iniziato. Non una, non cento, ma migliaia di persone attive: trasmettitori più o meno potenti, capaci di creatività propria in continua evoluzione. Raccontare e raccontarsi, guardare e guardarsi, conoscere e farsi conoscere per conoscersi di più.
Chi racconta a chi? Le aziende stanno imparando a creare, far creare e diffondere storie di prodotti e servizi per interposta persona e si stanno accorgendo che il metodo è efficace e conviene in termini di costi/contatti/credibilità/ricordo/immediatezza. In mezzo ci sono post a pagamento? Da oggi lo sapremo (forse).